La rivoluzione di De Zerbi

Il destino dei profeti non è quello di unire, ma di dividere. Lo dice chiaramente anche il Vangelo, con una frase netta, schietta e cruda che genera divisione già solo per il tono. E’ davvero il destino dei profeti, dei Messia, dei rivoluzionari quello di portare divisione, perchè di fronte ad una nuova Verità, non tutti reagiscono bene.

Forse è per questo che guardando Roberto De Zerbi in ogni tifoso si innesca un rapporto di odio e amore, in eterna lotta e contraddizione fra loro. Guardando il suo gioco e ascoltando le sue parole, studiando le sue scelte e cercando di capire i suoi pensieri si è affascinati e al contempo irritati.

E’ il suo modo di fare, è il suo carattere, è forse il suo più grande pregio e il suo maggior difetto: quello di essere un rivoluzionario e di sapere di esserlo.

Negli anni scorsi abbiamo riso e “memato” sulla rivoluzione sarrista, un nuovo modo di vedere il calcio che in realtà è quasi nato in Italia (che dire di un certo Arrigo) e che ci eravamo scordati. Una rottura del paradigma del risultato per andare incontro ad un’estetica sempre più apprezzata dai tifosi. Che alla fine devono decidere se staccare il biglietto o no.

Il volere di De Zerbi è probabilmente quello di rompere questo binomio che abbiamo visto generare attrito in campionato, quello fra “risultato” e “bel giuoco”, affrontato in maniera pessima dal giornalismo italiano. Per usare una citazione, De Zerbi non vuole far girare la ruota, ma spezzarla.

Ma il suo tentativo di fusione sembra dato non tanto dal cercare di usare entrambi gli aspetti, quanto nessuno dei due. A chi chiede del bel gioco, De Zerbi risponde che non è che gliene freghi più di tanto, come a chi chiede del risultato, afferma più o meno le stesse cose. Bel gioco e risultato sono due mezzi, e nessuno dei due è il fine.

Forse anche per questo qualcuno lo apprezza e qualcuno no, perchè non tutti lo capiscono e certo lui non scende a compromessi nella comunicazione. Ogni sua parola può essere male interpretata perchè non pensata per gli altri, ma da lui e per lui. Ma Roberto lo fa con sincerità e spontaneità.

Non stiamo parlando di un allenatore-comunicatore. A lui interessa solo essere capito dai suoi giocatori, non dai giornalisti e se il pubblico lo capisce buon per noi, ma non è questa una delle condizioni su cui si fonda la sua rivoluzione.

La sua idea di calcio è basata su alcuni principi solidi e granitici, ma mai fissi e dogmatici. La sua costruzione dal basso è ormai leggendaria in serie A, così come il pressing forsennato in transizione negativa e l’ossessiva ricerca del terzo uomo e del triangolo per ripartire. 

Il fatto che rispettando questi principi, il gioco del Sassuolo (e del Foggia o del Benevento prima) risulti “bello da vedersi” è una conseguenza, ma non una volontà di partenza. A De Zerbi il triangolo non interessa per far fare “olè” alla curva, ma per dare sicurezza ai suoi giocatori.

Chi pensa che al centro di tutto ci sia il modulo, gli schemi e le tattiche, sbaglia. De Zerbi insegna ai giocatori degli schemi affinchè loro li usino come “armi”, come frecce al loro arco. L’idea del controllo di suola, ad esempio, che lui incoraggia ai neroverdi, è suggerita proprio per far stizzire l’avversario. De Zerbi è un provocatore.

La provocazione è l’arma divisoria per eccellenza, un avversario provocato non pensa e reagisce come voglio io. C’è un’idea tattica quasi militare quando il difensore centrale punta l’attaccante per fare uscire le pedine dalle linee ed andare in superiorità. La ricerca della supremazia numerica sul campo si traduce in combinazioni bellissime da vedere, ma che non interessano per l’estetica.

E’ come quando Messi fa un pallonetto. A noi sembra spettacolo, quasi derisione, ma nella sua testa è probabilmente il modo più efficace di segnare in quel momento.  E funziona.

A qualcuno però De Zerbi non piace.

A Sassuolo non è stato certo aiutato dal vento reazionario portato da Iachini prima di lui. Bisogna ammettere che il Sassuolo di Iachini è stata una squadra solida, quadrata e semplice. L’arrivo del tecnico cappellomunito ha segnato una Restaurazione prevedibile, di fronte al degenero dell’idea di Bucchi e dei pochi risultati ottenuti.

Quando il Sassuolo non ha confermato il tecnico che lo ha salvato e ha ingaggiato l’allenatore arrivato ultimo in Serie A, ha compiuto una mossa non coraggiosa, ma quasi eroica. Ma l’epoca Iachini c’è stata, non si può ignorare, così come non si può ignorare quel catenaccismo italico.

A noi italiani il risultato ci piace. Ci piace perchè è certo, sicuro e innegabile. Ci piace per gli sfottò e perchè crea una separazione fra chi ha vinto e quindi ha ragione e chi ha perso e quindi è nel torto. Ci da sicurezza.

E le critiche a De Zerbi sono proprio di chi vuole vincere e pensa di saper come fare. Non nascondiamo la realtà, in varie occasioni il Sassuolo ha preso gol imbarazzanti e perso o pareggiato partite senza mostrare particolare decisione, ma piuttosto confusione. Bisogna giocare a calcio per divertirsi, ma a perdere non si diverte mai nessuno.

Alle prime critiche De Zerbi ha sempre risposto piccato, come se si sentisse sottovalutato. Ogni sua risposta alle domande dei giornalisti dopo una vittoria è una lezione di calcio, ogni sua risposta dopo la sconfitta è una presa della serie “pensate che sia un coglione?”. Chi pensa che a De Zerbi interessi più il gioco del risultato non ha capito che è nelle sue corde proporre il gioco che arriva più probabilmente al risultato.

De Zerbi è un calcolatore, perchè giovane e abituato ad un calcio che è sempre meno dogmatico e sempre più fluido. Il cambio di modulo dal 4-3-3 al 4-2-3-1 passato per il rombo di centrocampo in autunno è la dimostrazione della sua adattabilità e del suo non avere chiodi fissi. Se funziona, si cambia.

De Zerbi è utilitario, non scende a compromessi con nessuno quindi figuriamoci con i tifosi. Ci sono stati dissapori che hanno portato anche a sfoghi. Si sa che non tutti apprezzano la rivoluzione, perchè non tutti l’hanno capita.

Chi invece la sposa sono i giocatori, e non è scontato.

Spesso sentiamo di giocatori scontenti se non sul piede di guerra anche nelle piccole società, o di giocatori che alla conferenza di presentazione dicono i soliti luoghi comuni. Ebbene, non si è mai sentito un giocatore non lodare il tecnico, dai panchinari ai titolarissimi, così come molti nuovi acquisti sono arrivati “attirati dal tecnico”. Chi gioca e mastica calcio sa che questa rivoluzione va nel verso giusto.

Il mister punta paradossalmente molto più sul singolo giocatore che sulla squadra. Deve essere sicuro, confidente, convinto di poter fare quello che l’allenatore gli chiede e nel momento decisivo saper valutare se prendersi il rischio o meno. I gol del Sassuolo sono magnifici perchè sono un mix di organizzazione collettiva e di talento individuale.

Una fusione oggi sempre più necessaria in un mondo iperintegrato che rischia di sopprimere l’individuo in nome della collettività. Nel calcio di De Zerbi il giocatore è esaltato perchè trova il suo posto all’interno della squadra che funziona con lui e per lui. E non è forse quello che vorrebbe ciascuno di noi nel suo lavoro? E perchè no, nel mondo?

La rivoluzione di De Zerbi è attuale, contemporanea e anche per questo rifiutata dai “no-global” del calcio, convinti della bontà delle vecchie idee e di non dover ridiscutere approcci che funzionano. Ignari di poter essere spazzati via dal primo cambiamento o dal caos dei numeri di oggi. Impauriti da nuovi concetti che non capiscono.

Il calcio di De Zerbi è in un qualche senso la risposta alle inquietudini di oggi verso il mondo, nonchè un tentativo pacifico di migliorare sè stessi e tramite questo ottenere più punti e supremazia del gioco e dello sport. Il tutto in modo fluido, senza preconcetti o dogmi insormontabili.

La sua rivoluzione divide, come tutte le rivoluzioni, ma potremmo chiederci il perchè visto quello che esprime. E guardando bene il mister potremmo capire che forse, se questa rivoluzione divide è perchè è fondata su un unico vero pilastro. 

Lui stesso.