La Generazione che sembrava perduta

Un mese dalla conclusione epica e storica dell’Europeo e fra tante celebrazioni e riflessioni, una potrebbe risultare nuova e speriamo interessante. E difficile che venga fuori ora che Jacobs e Messi si prendono i rotocalchi. Ma la Serie A è alle porte e quindi vale la pena tornare sul calcio.

È normale che le grandi manifestazioni calcistiche, siano i Mondiali o gli Europei, vengano guidate da una generazione di giocatori, quelli che solitamente ci arrivano nel momento migliore della loro carriera, specie per questioni anagrafiche.

Studi vari (e ovviamente non leggi cosmiche) confermano che in base ai ruoli, il cosiddetto “prime” dei giocatori di calcio va dai 26 anni degli attaccanti ai 32 dei difensori. Diciamo che genericamente un calciatore raggiunge il picco leggermente prima dei 30, anche se la longevità sta piano piano aumentando e lo possiamo notare in maniera privilegiata in Serie A.

Chi vi scrive questo articolo è di parte, perché nato nella fulgida annata del 1993, ma proprio per questo se permettete ha seguito dal vivo lo sviluppo di molti giocatori coetanei, dal loro esordio fino ad oggi, da quando erano giovani acerbi ad ora che sono già con un piede verso il “bollito” della perfida valutazione popolana. E questo Euro2020 è stata la manifestazione che, trattandosi di 2021, dovrebbe mettere in luce i giocatori nati dal 1990 al 1994 circa.

Che un po’ quello che è successo, visto che i due bomber assoluti Lukaku e Kane sono classe ‘93, come Pogba. Kante, Griezmann e De Bruyne due ‘91, come persino Forsberg che ha trascinato gli svedesi. Morata e Koke sono ‘92 come Eriksen, protagonista mancato sul campo, Sterling un ‘94 e potremmo via via continuare per osservare che la maggioranza dei protagonisti è compresa in questo range.

E poi arriva l’Italia.

La campionessa in carica è piena di giocatori nati fra le Notti Magiche e USA ‘94, li elenchiamo per prenderne atto: partiamo dai già ultratrentenni Immobile e Toloi, poi quelli appena sulla trentina Insigne, Florenzi e Jorginho, l’unico ‘92 Marco Verratti, i due classe ‘93 Spinazzola e Belotti e per finire una pletora di ‘94 con Di Lorenzo, Berardi, Emerson e Bernardeschi.

Avrete riconosciuto fra questi molti cardini del gioco dell’Italia, fra cui il più forte e già affermato campione d’Europa con il Chelsea. La difesa oscilla fra i senatori e i giovanissimi Bastoni e Donnarumma, ma per il resto possiamo dire che è questo slot di età a dominare la rosa ( 12 giocatori su 26 di cui circa 7 titolari fra i vari cambi mostrati da Mancini).

Ed è proprio la generazione che per anni è stata accusata di non aver portato sufficiente talento in Nazionale, di aver sprecato le proprio doti, anche e forse perché guidata dal coetaneo Mario Balotelli, classe 1990.

Per farvi capire cosa hanno “passato” calcisticamente queste annate, pensate che a 14/15 anni sono diventati campioni del mondo con il rigore di Grosso, poi a nemmeno venti vedevano tutto nero in Sudafrica, un barlume di speranza con Euro 2012 (dove appunto fra i protagonisti indiscussi ci fu Mario) e poi il secondo tracollo in Brasile per concludere in bellezza con l’esclusione a Russia 2018.

La storia di questi giocatori in Nazionale è stata tragicomica, a tratti legata a filo con quella di SuperMario, e condizionata anche da sparute sfortune oltre che da flop sportivi.

Non è il caso che per molti di questi, Euro 2020 (che poi è 2021) sia stato l’esordio in un grande torneo con la Nazionale: Immobile, Toloi, lo stesso Jorginho, Spinazzola e Belotti, e infine anche Emerson, Di Lorenzo e Berardi che lo ricordiamo ha segnato oltre 80 gol in serie A di cui 16 a nemmeno vent’anni ma vabbè.

In pratica 8 di questi 12 sono stati al loro esordio “che conta”, prendono il posto di numerosi ragazzi appartenenti a questa fascia anagrafica che hanno avuto più sfortuna e in maniera molto onesta sono anche stati meno bravi, e nonostante le buone premesse non hanno confermato le giovani promesse.

Nella famosa partita di San Siro, fossa delle Marianne del calcio italiano, 4 titolari appartenevano a questa fascia natale oltre a tutti e tre i subentrati. Fra questi sono “sopravvissuti” e ce l’hanno fatta ben 5, cioè Immobile, Florenzi, Belotti, Bernardeschi e udite udite, anche Jorginho che era titolare quella sera di Novembre.

Per fare un secondo e forse più interessante elenco, abbiamo Simone Zaza, Manolo Gabbiadini, Fabio Borini, Stefano Sturaro, Mattia De Sciglio, Stephan El Shaarawy, Mattia Perin, Mattia Destro, fra quelli che per qualche tempo sono entrati nel giro della Nazionale e ne sono comprensibilmente usciti.

Vince il ballottaggio foto Destro dal momento che con la Nazionale ha segnato al BRAGLIA di Modena

Difficile non leggere in questo elenco alcuni calciatori che alla fatidica prova del grande club hanno fallito e si sono “persi” calcisticamente. Tutti ottimi professionisti, ma decisamente pochi campioni spendibili a livello europeo. Fra questi potremmo persino aggiungere Ciro Immobile, non brillante con il Borussia, Toloi e Florenzi trattati un po’ così dalla Roma e Spinazzola scaricato dalla Juve, che in queste annate anagrafiche aveva spesso fatto spesa in maniera indiscriminata.

Pensiamo poi alle occasioni mai avute da Belotti e Berardi, e alle fatiche ad adattarsi al contesto azzurro di Verratti spesso condizionato da infortuni e valutazioni da “nessuno è profeta in patria”. Solo Bernardeschi, fra questi, ha vinto un titolo nostrano, ma non possiamo certo dire da protagonista.

Eppure hanno vinto loro. E nettamente.

Andando oltre il risultato sensazionale semplicemente non superabile, il ciclo di Mancini è e resterà impresso e impressionante, perché non si tratta del buon inizio di Prandelli nel 2012 o di quel sussulto d’orgoglio con Conte nel 2016. Mancini ha edificato una struttura umana poggiata su giocatori a cui la storia non ha riservato grandi soddisfazioni a livello di palmares e di giudizio della stampa. Giocatori che tutti davamo ormai per buttati.

Persone, prima che sportivi, le quali avrebbero potuto accontentarsi ormai delle briciole delle gloria passata e di risollevare parzialmente una Nazionale oggettivamente allo sfascio. In confronto alla mancata qualificazione ai Mondiali 2018 e alla bruttura a cui il calcio italiano era arrivato, sarebbe stata sufficiente una buona prestazione ai gironi per traguardare qualcosa di positivo.

E invece le partite consecutive senza sconfitte sono state 33, dopo aver tolto il record di 30 alla squadra di Vittorio Pozzo capace di vincere una cosetta come due mondiali. I minuti di porta inviolata sono nuovamente un record, con 1.168 giri d’orologio prima di subire il gol austriaco che ha sancito il tempo. Se contiamo le due vittorie ai rigori, sono 15 successi di fila, altrimenti 13 che sono ugualmente un primato. Per non parlare della raffinatezza del gioco, decisamente diverso dal 3-5-2 tutto corsa e duelli cui eravamo ormai abituati. Un gioco fluido, moderno, efficace ed esteticamente valido, basato sui principi che proprio in questi anni la “vecchia guardia” televisiva cercava di ostacolare.

Tutto ottenuto con questo ciclo di calciatori, proprio quelli della generazione considerata perduta, del mancato ricambio ai campioni del mondo, della aspettative deluse e dei mancati salti nelle grandi squadre. Di quelli ingabbiati nella nostalgia della generazione dorata, degli anni Novanta che erano meglio e della Serie A sul tetto del mondo. È questa generazione che con il sigillo incontrovertibile della vittoria ha scritto la storia di questa maglia e ha cambiato la concezione stessa del calcio in Italia, anche partendo da quella stessa nostalgia, incidendo su Notti Magiche (una canzone suonata quando molti non erano nemmeno nati) un successo cronologicamente discordante, ma intonato nella sua imprevedibilità.

Questi giocatori a lungo snobbati dai salotti del grande calcio, che nel loro momento migliore e nel contesto giusto, sono stati capace di fare due cose entrambe forse nemmeno lontanamente immaginabili qualche anno fa: scrivere la storia della Nazionale e al contempo riscrivere la loro.