I PROMOSSI SPOSI

Quel ramo del fiume Secchia, che volge a mezzogiorno fra due catene non interrotte di monti e di stadi predisposti per la Serie A.
Qui ha inizio ormai molti anni fa un amore giovane, spontaneo, innocente e sincero fra una piccola città di provincia e una dama bella da sogno, cercata da molti ma che si concede a pochi: l’Europa, d’argento vestita e dalle orecchie grandi.
E’ una storia complicata in partenza. Sassuolo è solo una piccola realtà, spavalda certo, con l’incoscienza della gioventù e l’incapacità di stare al proprio posto tipici di quell’età. Forse non si rende conto di desiderare qualcosa che non può nemmeno permettersi, ma ci prova lo stesso.
Ma nonostante gli affari vadano bene, le ristrettezze economiche agitano sempre i sonni e in mezzo ci si mettono anche i poteri con cui si scontra chi vuole salire la scala della vita.
“Questa serie A non s’ha da fare”
diceva un gruppo di ultras in maglie gialloblu e granata. Sgherri disoccupati dei signorotti locali sempre più in decadenza al discendere dell’economia della campagna.
Signorotti potenti, con agganci fin sopra la struttura di comando, che hanno provato ad impedire il grande passo. Fu la notte degli inganni, o dell’im-Braglia, quella consumatasi contro i doriani in una calda sera di estate. Lì sembrò tutto finito.
Ma il Sassuolo non si è perso, con l’animo di chi non ascolta facilmente il senso comune, ma rimane fermo al buon senso.
Sapeva che di fronte al rifiuto di molti allenatori, ce ne erano alcuni che avrebbero saputo opporsi alla dittatura della difesa a 3, del catenaccio e del contropiede.
Ma l’invidia dei locali era alta, e persino nobili decaduti dalla città lombarda venivano a mettere i bastoni fra le ruote. Ma proprio quando i tumulti allontanavano i pretendenti dall’Europa, ecco il rapimento che nessuno si aspettava.
Un uomo sconosciuto, Innominato, capace di soggiogare squadre meglio attrezzate, è arrivato e con la sua veste nerazzurra si è rapito il sogno dell’Europa, portandolo nel castello del bergamasco. Tutto ora sembra perduto.
La calata degli investimenti stranieri ha portato una malattia che sembra quasi incurabile, un morbo dal nome impronunciabile i cui sintomi si riconoscono subito: i giocatori scappano verso altri lidi, i fatturati si gonfiano sulla pelle fino ad esplodere e far uscire finte plusvalenze. I tifosi sono costretti a rinchiudersi in casa e chiamare il decoder qualora versassero in brutte condizioni.
E ora? Che l’Europa chiude le porte e la peste attanaglia la pensiola, che fare?
Rimangono gli uomini. Non gli azzeccagarbugli, capaci solo di raccattare su punti o di speculare su giovani senza contratto. Gli uomini veri, al cui passaggio tutti si inchinano, quel cardinale che tutti, forse in odore di epidemia, chiamavano “Dottore”. Lui ha mostrato la strada, lui ha saputo riscattarci anche contro i potenti.
Rimane la Provvidenza, ad assisterci, in questo momento di incertezza. Fiduciosi che tutto questo male possa passare e che questo girovagare del pallone un giorno ci premi e ci porti finalmente fra le braccia di colei il cui nome abbiamo paura a fare, dal forte che è il desiderio. La Champions.