Come abbiamo fatto a non accorgerci di Ciccio Caputo?

E’ una domanda che al momento ho sentito fare solo a Paolo Condò, forse il miglior giornalista sportivo italiano e non a caso delegato per il Bel Paese all’assegnazione del Pallone d’Oro.
Dopo la partita con il Crotone, dopo una doppietta (non certo la prima), dopo un’altra grande prestazione totale in attacco, solo Condò ha avuto l’ardire di chiedere a Ciccio Caputo ai microfoni Sky “Ciccio, ma cosa non è funzionato? Perchè ti scopriamo solo ora a 33 anni?”.
Il giornalista ha anche suggerito al bomber delle opzioni, come le società, le dirigenze, gli ambienti, ma Caputo ha glissato senza rispondere direttamente. Ma dopo il suo esordio e il suo primo gol con la maglia azzurra, è una domanda a cui dobbiamo provare a dare una risposta.
Come abbiamo fatto a non accorgerci prima di lui?

Per me in primis è difficile sviluppare un pensiero, dal momento che quando arrivò in Serie A 3 anni fa con l’Empoli io stesso lo classificavo come un anonimo bomber di provincia. Veniva da un’annata ottima in serie cadetta, con 26 gol rifilati in tandem con il compagno Donnarumma.
Ma anche lì, chi poteva dirlo? Prendiamo un attimo l’elenco dei capocannonieri prima di lui per capirci: Giampaolo Pazzini, Gianluca Lapadula o ancora meglio Pablo Granoche e Andrea Cocco, Matteo Mancosu e Daniele Cacia. Su quanti di questi avreste puntato per la maglia della Nazionale?

Nessuno, e il tempo vi avrebbe dato ragione. C’è un mondo in mezzo fra gli attaccanti di categoria in Serie B e quelli che possono ambire a palcoscenici europei. Un mondo che spesso però riempiamo più di narrazione che di effettivo talento.
“Il Sassuolo con Caputo a 33 anni sta facendo la differenza. Qui siamo sempre alla ricerca dei nomi, delle folgorazioni…” ha detto quest’estate Aurelio De Laurentiis, poco prima di spendere 70 milioni per Osimhen.
Parole sacrosante, ma che ancora una volta nella storia del calcio e di Caputo stesso, non sono corrisposte a fatti. Ovviamente si è creato un contesto favorevole a Caputo nel Sassuolo, con il gioco di De Zerbi che ne esalta le caratteristiche. Ma è successo all’Entella, all’Empoli e ora anche in Nazionale. Cominciano ad essere un po’ tanti i contesti in cui si trova a suo agio, direi.
Allora prendiamo uno dei primi punti di Condò, che abbiamo già toccato, ovvero le società e le loro dirigenze. E’ possibile che il nome di Caputo non sia mai finito sul taccuino di qualche osservatore?
Diciamo che per buona parte della sua prima carriera, Ciccio è stato legato al Bari e da lì spesso non si è mosso di sua volontà, incorrendo in più di una disavventura, dal calcioscommesse al fallimento.

Sicuramente la carriera della punta è stata influenzata da questi episodi, della squadra barese dell’annata fallimentare 2014/2015 possono dire di avercela fatta solo Luca Ceppitelli (oggi capitano del Cagliari) e Stefano Sabelli, tornato in A con il Brescia.
Possiamo anche metterci il suo agente, che non fa certo parte di una delle numerose agenzie di procuratori che oggi giocano un ruolo preponderante nella Serie A. Prendiamo in esempio il Napoli, società virtuosa nella gestione dei talenti il cui presidente si è esposto direttamente sul nostro talento barese. Praticamente solo Malcuit ed Elmas non sono sotto contratto con una mega agenzia, mentre abbiamo 3 giocatori sotto la LIAN Sports, 3 sotto la MARAT Football Management, 3 con GEV e 2 sotto Mino Raiola.

E’ solo un esempio eh, ma oggi si sa che le procure possono aiutare molto la carriera e le trattative di un giocatore, banalmente perché esistono contatti già avviati fra club e alcuni agenti che riescono a piazzare un loro giocatore. Ciccio si è sempre mosso per il suo talento, e diciamo anche poco visto che al di là dei prestiti ha avuto solo 4 squadre!
E diciamo pure che, data l’età, il combinato disposto calcioscommesse e fallimento societario gli ha decisamente tranciato le gambe nel momento di “prime” di un attaccante. Dopo una stagione da 17 reti in Serie B a 25 anni, la sua stella poteva essere pronta a brillare in galassie più grandi, capaci di esaltare la sua luce. Ma poi BAM, ecco un anno intero lontano dai campi e poi una stagione delle più folli in stile Parma di Donadoni!
Mi sento di dire, quindi, che Ciccio un po’ si è sempre estromesso dai grandi palcoscenici, restando molto attaccato alla sua terra e non volendosi immischiare nelle pozzanghere non certo terse del calcio per procura, e un po’ è stato decisamente sfigato.
Qualcuno lo aveva notato eh, parlo di un certo Antonio Conte, che lo allenò sia a Bari che a Siena, ma che poi fece un salto enorme (la Juve) per potersi permettere di fare il nome di un ragazzo della Serie B. Serviva qualcuno con del coraggio.
Coraggio non ne passa molto nei piani alti dei club di serie A, ma noi tifosi in primis sappiamo benissimo il perchè. Come reagirebbe la tifoseria di Inter o Lazio se venissero spesi 8/9 milioni per un giocatore di 29/30 anni autore di 18 gol in Serie B? Rumori, mormorii e malcontento. E perchè non investirli su un giovane? E perchè non tenerli per un top?

Ormai i board della Serie A ragionano così, in un’ottica completamente fuori da quello che potremmo dire coraggio o perché no anche meritocrazia. Cercano investimenti sicuri, oppure giovani da poter valorizzare e rivendere generando valore. Tradotto in altri termini, nessuno investe in un giocatore dopo i 26 anni oggi. E forse questa gestione, combinata alla mannaia della pandemia, comincia a svelare le sue crepe.
Ma non concludo così, perchè non me la sento di addossare le “colpe” (mi sembra un termine forte, lo metto fra virgolette perchè non stiamo parlando di omicidio, dopotutto) alle società di serie A e al loro modo di trattare giocatori. Manca un tassello principale.
Andando a rivedere video e highlights di Ciccio in Serie B, vuoi con l’Entella o con l’Empoli, ed aggiungendo anche le prestazioni in A con l’Empoli, si vede a tutti gli effetti un giocatore buono, ma non straordinario. Bei movimenti, buona precisione, ma non è assolutamente il giocatore che è oggi.
Perchè Ciccio, diciamolo chiaramente, è migliorato incredibilmente. E lo ha fatto a 30 anni.
Questa è la variabile imprevedibile, specie in un mondo annebbiato da FIFA, PES e Football Manager in cui la “crescita” di un giocatore è un parametro perfettamente parabolico: i giocatori hanno talento da giovani, maturano verso i 23, esplodono verso i 25 e raggiungono il massimo ai 30 e dopo perdono il talento come in Space Jam. Così è e così sarà.
Ciccio Caputo ha preso tutte queste statistiche e le ha buttate nel cesso, tirando lo sciacquone e usando il suo trofeo di capocannoniere di Serie B per stoppare l’ingorgo.
In pochi anni, Caputo ha migliorato sensibilmente tutto e ora è un attaccante completo, ambidestro, capace di puntare l’uomo e saltarlo in velocità, servire deliziosamente un compagno e riuscire tutte le volte a smarcarsi in maniera intelligente.
Questa è la cosa che meno ci aspettiamo, ovvero assistere ad un giocatore che, arrivato a 32 anni in quello che sembrerebbe già l’apice della sua carriera, dice “sapete cosa? Posso giocare tutti i minuti delle partite del campionato e segnate a valanga sia con una neopromossa che in Nazionale”.
Possiamo prendere quindi i vari punti, il suo attaccamento a Bari, le sue sfortune, le società di Serie A per come funzionano oggi e provare a trarne una lezione per il futuro.

Oppure più umilmente, e in linea con il rasoio di Occam, prendiamo l’ultimo e rendiamoci conto che se ci siamo affezionati alla storia di Ciccio e ancora non ce la spieghiamo è perché nessuno poteva neanche solo immaginarla fino a 3 anni fa. Perchè è fatta di quella cosa che ci fa amare il calcio alla follia e che ci tiene attaccati al televisore il lunedì sera quando potremmo fare altro.
Quella cosa che, tra big data e determinismo scientifico stiamo cercando di eliminare dal mondo, perché ci spaventa e ci attrae allo stesso tempo. Quella cosa che non possiamo accettare perché dannazione tutto deve avere una ragione altrimenti divento matto. Quella cosa di cui è fatto il calcio.
L’imprevedibilità.