Berardi contro tutti

In un paese in cui un ventenne che segna 30 gol nel campionato maggiore in 59 gare non viene convocato in Nazionale, il problema sarebbe nella Nazionale o della Nazionale. Addirittura qualche C.T. potrebbe giocarsi la reputazione, qualche giornale potrebbe far partire una crociata di sostegno e smuovere l’opinione.

In Italia, no. Perchè qui il problema non è mai stata l’Italia, il problema è sempre stato Domenico Berardi.

Nel 2015 esce una statistica destinata appunto a far discutere, dal titolo molto poco clikbait di “Berardi meglio di Messi”. Il ventenne di Cariati, all’epoca, aveva segnato 30 gol in 59 partite di Serie A, mentre Lionel ci aveva impiegato 12 gare in più nella Liga. E all’epoca giocava spesso posizionato sull’ala destra nel tridente di Rijkaard. Ovviamente era un dato volutamente provocatorio, ma non per forze bisognava mettere in un angolo l’italiano solo per la non paragonabilità con l’argentino!

Nelle prime due stagioni del campionato maggiore i gol per Mimmo erano stati rispettivamente 16 e 15 gol, oltre a quali aveva svolto un ruolo importante nella vena realizzativa neroverde di un calcio, quello del Difra, che già si denotava per spensieratezza offensiva.

Eppure niente, nessuna chiamata, anzi multe! Il primo anno di A saltò ben 9 mesi di giro Nazionale per non aver risposto ad una convocazione. Il problema era che la convocazione è seguita alla promozione del Sassuolo e il giovane voleva probabilmente godersi la festa. Certamente colpa sua, ma le parole all’epoca furono durissime.

Un comportamento non idoneo, un fatto gravissimo. Il codice etico ha creato esclusioni eccellenti in Nazionale A. Dobbiamo tener conto di una cosa: il rispetto. Che è venuto a mancare. Noi dobbiamo educare. La maglia azzurra è il massimo. Si può sbagliare ma ci deve essere voglia di confrontarsi 

 disse Demetrio Albertini, presidente del club Italia, ruolo che probabilmente nessuno ricorda perché serviva a dare un posto di lavoro ad Albertini, fondamentalmente

Nel 2014 (ma anche oggi) un ragazzo che gioca a calcio deve sostanzialmente stare zitto. Non può permettersi nulla e subisce una continua esposizione mediatica a volte non cercata: non può tirarsela troppo, non può dimostrare eccessiva personalità, non può essere esuberante ma nemmeno dimostrare di non avere attaccamento ai colori. Una vita da militare.

In un momento in cui la Nazionale è una delusione perenne, si caricano i giovani di enormi aspettative alla ricerca del nuovo Totti o Del Piero. Decine di ragazzi dei primi anni Novanta si sono infranti contro il muro dell’attesa del tifoso medio.

Ecco Berardi non ebbe nemmeno l’occasione di infrangersi perchè non venne convocato con la Nazionale maggiore per i primi due anni, probabilmente perché le strisce nere c’erano, ma mancavano quelle bianche, rosse o blu invece di quelle verdi.

Questo è sempre stato un problema suo, che gioca in una squadra dal basso blasone, che è una testa calda, che si fa espellere troppe volte. Effettivamente una all’anno anche se ditemi voi che colpe aveva nell’espulsione contro il Livorno…

A ottobre 2015 Conte lo convocò, quasi per miracolo, ma la sfortuna ci mise del suo e un infortunio lo rimandò a casa, preambolo di un brutto crack che lo tenne lontano per buona parte del 2016, quando di Berardi parlava solo Calciatori Brutti chiedendosi che fine avesse fatto il ragazzo. Per non parlare delle malelingue che qui volutamente non citiamo.

Ma questo non giustifica per niente la sua mancata convocazione in tutto questo tempo, ricordiamo che andammo al (fortunato) Europeo 2016 con un attacco composto da Insigne, Bernardeschi, Candreva ed El Shaarawy… La scusa fu che Mimmo giocava in un tridente mentre il mondo virava verso un 3-5-2. La realtà era che nessuno aveva voglia di lavorare su di lui. O coraggio.

Quando nel 2017 ufficializzò il suo Sì al Sassuolo, dicendo no al definitivo ricongiungimento con la Juventus che deteneva la metà del suo cartellino, il “gran rifiuto” lo portò su tutti i giornali e gli attira una serie di critiche bipartisan a ben pensarci sconcertanti.

Qualcuno lo accusava di “non avere le palle” e di restare nel suo piccolo mondo, altri lo accusavano di superbia e di credersi chissà chi. Per una ragione o per l’altra, a dimostrazione della sensatezza di chi accusa per partito preso, tutto criticarono il ragazzo che rifiutava la squadra più odiata d’Italia. La Juve si odia, ma non si rifiuta, sembra essere l’opinione comune.

Questo segnò il punto di non ritorno fra lui e la stampa, perché ormai la guerra era totale. Gli hanno detto di essere un montato, un ragazzo ingestibile, di saper giocare a calcio solo con Di Francesco, di essere falloso e incontrollabile in campo. Infine di aver osato fare questo, dire no al passaggio in una big, facendo esempi DI SUCCESSO COME BERNARDESCHI O ORSOLINI.

Mimmo prese la strada più giusta: sparire.

Per un po’ non lo si vide più nei radar. Emersero altri nuovi pupilli su cui buttarsi, prima Bernardeschi, poi Chiesa e altre annate ormai più esuberanti. Nel febbraio 2017 venne convocato da Ventura nello stage dei calciatori emergenti...lui che a 19 anni faceva quattro gol al Milan. Nel maggio indossò la fascia di capitano in una partita non ufficiale contro San Marino.

Sul perchè fosse ai limiti dell’umiliazione è semplice, visto che in campo ci sono Petagna e Lapadula davanti, Gagliardini e Baselli al centro e Scuffet in porta. Sembrava il prosieguo di un Under 21 fallita, piuttosto che un reale serbatoio della Nazionale forse peggiore di sempre. 

La prima presenza ufficiale è arrivata con Roberto Mancini, tre C.T. dopo il suo esordio al Mapei Stadium. Era il 1 giugno 2018 e Mimmo aveva già spento 23 candeline andando per i 24 essendo del 1994. Dopo qualche partita, anche Mancini poi non lo convocò per tutto il 2019.

Ora, dopo 4 e 3 gol, è il giocatore azzurro ad aver segnato di più in Nazionale nel 2020. E qualcuno improvvisamente sembra risvegliarsi dal sonno della ragione, tornando a vedere Mimmo come il grande talento che è.

Il suo mister De Zerbi ha riassunto alla perfezione nell’intervista a Repubblica la carriera del numero 25.

Il suo caso è comprensibile solo conoscendo bene la persona: è un ragazzo genuino, consapevole della sua forza, ma anche del fatto che è il suo ambiente a conferirgliela. I suoi amici, i suoi affetti. Domenico è spiazzante, perché siamo abituati in un mondo in cui tutti vogliono salire di più, brillare di più, guadagnare di più. La sua permanenza felice al Sassuolo va contro le regole.

Queste parole valgono più di mille articoli e spiegano in poche righe tutto quello che c’è da dire, ma che forse valeva la pena ricordare. Berardi è stato punito più volte, indirettamente e implicitamente, per essere andato contro il pensiero comune.

Contro quella generazione di signori che ti vuole bravo all’università, lanciato nel mondo del lavoro, emigrato all’estero poi tornato, uscito di casa, sistemato, ma senza pretese di sottrarre il posto a loro. Quella setta di giornalisti per cui il giovane deve per forza avere un percorso fisso per diventare bravo, con la gavetta in B e l’arrivo in una grande squadra.

Come i parenti che al pranzo di Natale ti chiedono quando ti sposi, i giornalisti assillano ogni neonato calciatore con la domanda che vende copie: quando ti trasferisci in una grande squadra? Ti senti pronto? Una domanda perfetta a cui, se ci pensate bene, è impossibile dare una risposta che non scontenti qualcuno.

Berardi ha ribaltato la logica, perchè non ha semplicemente risposto più a queste istanze. Contro i media incontrollabili e incontrollati del 2020, Mimmo ha scelto basso profilo e lavoro, complice anche la sua naturale timidezza forse temprata dalle trappole di quegli anni. Una vita del tutto normale, che disturba proprio per la sua felicità, perchè fa ricredere chi ha fatto altre scelte e lo spaventa.

Come una variabile inattesa, un evento imprevedibile, una costante dell’equazione che cambia all’improvviso e fa impazzire chi non ha posto per l’imprevisto nella sua vita, Berardi con la sua diversità ha gettato il terrore. Perché non solo non ha risposto alle provocazioni in maniera quasi evangelica, ma ha addirittura trovato una risposta tutta sua, per se stesso come persona e calciatore, che gli da pace e realtà in una vita che per altri è fatta di apparenza.

Verrebbe da chiedersi come sarebbe stata la storia se il mondo del calcio avesse capito fin da subito Berardi e tutti quelli come lui. Forse non avremmo perso 4 anni del miglior talento calcistico della sua annata, forse lo avremmo visto trascinarci ai Mondiali 2018 quantomeno qualificati. Tutti se, tutti ma, che ora per fortuna non fanno più male perchè il ragazzo è arrivato là dove doveva essere.

Quel che è buono e positivo, è che ora queste domande finalmente se le sta facendo il paese e la Nazionale, e non più il ragazzo. Ora il movimento calcistico sembra più slegato dai titoli e dai blasoni, e i C.T. più liberi di convocare e sperimentare con ragazzi semplicemente bravi e su cui vale la pena lavorare. 

Berardi nel suo piccolo, nella sua semplicità e nella sua timida battaglia contro tutti, probabilmente ha vinto anche per molti altri calciatori.