EDITORIALE. A lezione dalla Dea

Dopo tanto parlare, dopo le attese, le speranze e le paure, arriva il campo con le sue sentenze. Decisive, spietate, talvolta anche ingiuste, ma per definizione pesanti. Viene da chiedersi come sia possibile rimettere tutto in discussione ogni volta dopo una partita, ma è effettivamente una botta di realtà in un mondo di supposizioni. E stavolta la botta ha fatto male, ma forse non troppo.
In un Gewiss Stadium vuoto, come ormai ci siamo abituati a vedere, è andata in onda una lezione di concretezza targata Atalanta che sarebbe degna di un webinar di questi tempi. Una lezione severa, anche perché svuotata di tutta la retorica vista finora.
Dopo un triduo di Coppa imbarazzante a livello estetico, con tre pareggi e due gol tra le migliori 4 squadre del campionato, ci stavamo forse concentrando troppo sui messaggi che il calcio in questo momento deve mandare: un pizzico di pensieri al covid, una spolverata di black lives matter e il calcio in qualche modo si sente ripulito.
Il calcio è calcio, e l’Atalanta ce lo ha mostrato. E’ giusto pensare a tutto quello che è successo intorno a noi in questi mesi, ma quanto visto in campo è forse la risposta migliore che potevamo volere da uno show.
C’è spazio nei primi minuti per il silenzio e il cordoglio, ma al fischio di inizio gli orobici sono pronti all’attacco. Ad ogni gol è una festa, una celebrazione a suon di pugni battuti e non di abbracci, ma con sorrisi stampati sulla faccia di chi è tornato a divertirsi facendo il suo lavoro.
La doppietta di Zapata non vede nessun inchino in favore della (sacrosanta) causa antirazzista, come Nkoulou o Lukaku. Anche qui solo solo la gioia di chi sta vincendo, quasi come se i giocatori fossero isolati dentro uno stadio che invece che contenere, isola dall’esterno. Come il nostro posto di lavoro dopotutto.
I primi minuti vedono un leggero predominio sassolese, con facilità nel trovare spazi e passaggi e nuove tattiche preparate ad hoc per l’avversario. De Zerbi fa uscire Consigli dai pali ben oltre la propria area, arrivando più volte a porsi davanti ai centrali Marlon e Peluso. Verosimilmente il Deze spera di attrarre un centrocampista e liberare il duetto Locatelli-Bourabia, ma non funziona.
L’Atalanta non abbocca e Consigli cerca spesso il passaggio lungo e lo trova con una certa precisione (fornirà quasi un assist), ma ad ogni “spizzata” di Caputo, c’è un difensore nerazzurro che esce ed anticipa Defrel.

Il primo tempo vede il centrocampo sistematicamente saltato da entrambe le squadre, ma Gollini è bravo due volte in uscita e la partita si sblocca con un calcio piazzato. Probabilmente uno schema porta una seconda palla in piena area piccola sui piedi di Djimsiti che insacca facilmente.
Viene annullato un gol di Gomez per un tocco di mano di Gosens, onestamente fiscale, ma nonostante si sia ancora sull’ 1-0 il Sassuolo si spegne. L’Atalanta, vuoi per un piano gara o vuoi perchè i giocatori si sono accorti di un Toljan non in forma, comincia ad attaccare sulla sinistra e sfonda.
Due gol in pochi minuti, 31’ e 37’, nascono dalle combinazioni di Gosens con l’attacco orobico e la difesa schierata del Sassuolo che guarda o interviene in ritardo. Il 3-0 è forse però troppo severo, ma su questo torneremo.
Il secondo tempo vede più Sassuolo ma ancora troppo Gollini, che compie un intervento ai limiti dell’alieno su Defrel, togliendoli un gol che forse avrebbe svoltato l’inerzia del match. Il Deze prova a mischiare le carte con un cambio che mai gli abbiamo visto fare e che forse senza i due cambi in più non avremmo visto: fuori Boga e Berardi in un colpo.
Defrel si allarga, Haraslin sostituisce l’ivoriano e Djuricic fa da 10. Qualcosa migliora ma è impossibile dire quanto per merito e quanto per un’Atalanta che intelligentemente non affonda più. Vero è che nonostante le azioni, il quarto gol è sempre loro, sempre con Zapata. Un gol che adesso sembra eccessivo.
Che il Sassuolo colga il gol all’ultimo minuto, con una punizione fatata di Bourabia (autore dell’autogol) sa di pareggio dei conti, perchè abbiamo meritato di perdere, ma non così. Anzi.
Dalle statistiche emergono dati interessanti. Il Sassuolo ha fatto un tiro in più dell’Atalanta (14 contro 13) e sempre uno in più in porta. Alla Dea sono bastati 4 tiri in porta per segnare 4 gol, il Sassuolo ne ha impiegati 5 per un gol da piazzato. In media il Sassuolo è riuscito a fare 9 passaggi prima di essere intercettato, l’Atalanta 12. Il calcolo degli expected goals spiega meglio.
Il Sassuolo ha prodotto 2.51 exGoals ovvero “goal medi” considerando posizione e forza dei tiri effettuati. L’Atalanta 3.17 ma beneficiando di un autogol. Addirittura i dati de l’Ultimo Uomo (ognuno conta gli exG in base ad un suo modello matematico) segnano l’Atalanta a 2.5 e il Sassuolo a ben 2.9. Insomma, non è questione di quantità, ma di qualità.

Il Sassuolo ha prodotto il giusto, nonostante l’Atalanta avesse piazzato Freuler e De Roon praticamente a presidio della nostra trequarti, senza farli partecipare granchè alla manovra offensiva. Ma davanti è mancata la cattiveria, anche (e qui forse De Zerbi dovrà decidere) perchè dei 14 tiri solo 2 sono venuti da Caputo, capace di fornire in cambio 3 passaggi chiave.
Un Caputo playmaker ha tolto qualità alla conclusione e quindi alla realizzazione. Allo stesso modo l’Atalanta ha segnato a due passi dalla porta tutti e 5 (ci aggiungiamo quello annullato) i gol, dimostrandosi bravissima a portare i giusti uomini e le giuste traiettorie in area.
Insomma, un 4-1 non così drammatico a ben vedere la partita, ma pur sempre un 4-1. Una botta di concretezza che dopo 100 giorni di sogni, mette un’ombra su questo campionato ora che nessuna squadra ha più l’asterisco davanti. La sorte del calcio ha voluto impartire una lezione dura e pragmatica a noi.
Sta a De Zerbi scegliere se insistere fino a raccogliere i frutti o cambiare tutto. Lui ha già detto di prendere l’Atalanta come modello del futuro Sassuolo. Noi ce lo auguriamo, ovviamente.