A che punto siamo con il vivaio del Sassuolo?

Si è conclusa ieri sera l’avventura della Primavera del Sassuolo. Non si è conclusa nel modo che speravamo tutti, essendosi conclusa in una semifinale persa contro la squadra che ha chiuso il campionato al primo posto, cioè in maniera più che onorevole.
Per la squadra allenata da Emiliano Bigica si è trattato di una buona stagione proprio per l’arrivo ai playoff e alla semifinale dopo la vittoria contro la Juve. Ma questo anno così positivo ci ha suscitato in realtà una riflessione maggiore, ad ampio respiro, sul settore giovanile neroverde.

Prima però dobbiamo calarci in un mondo a parte, ovvero quello della “Primavera”, cioè la classe regina delle giovanili. Per definizione è un mondo in cui ci può essere programmazione pre, ma non post. Le squadre possono essere allestite, i giocatori scovati ma poi alla lunga non trattenuti perchè, banalmente, non hanno più l’età. Parliamo quindi di un mondo davvero simile per calcio giocato a quello “dei grandi” ma per forza di cose con più di un vincolo esterno.
Anche il blasone è diverso. Per darvi un esempio, il Sassuolo disputa il campionato Primavera 1 (una sorta di Serie A) dal 2008/2009 in quanto ne ha avuto automatico accesso a partire dalla Serie B. Fino al 17/18 il campionato Primavera era una competizione che riuniva in maniera abbastanza collettiva una quarantina di squadre in tre gironi, ovvero tutte le squadre di A o di B.
Questo consentiva a tutti di mettersi in mostra e di limitare anche le trasferte estreme. Allo stesso tempo, però, non contribuiva a livellare troppo il campionato. Diciamo che c’è un prima e un dopo la fatidica annata 17/18 e che se vogliamo analizzare il percorso di questi anni dobbiamo tenerlo presente.
Fino a quell’anno il Sassuolo ha collezionato molti piazzamenti a metà classifica (non c’erano nemmeno retrocessioni) e 2 qualificazioni ai playoff in cui l’avventura finì al primo turno entrambe le volte. Erano però le annate 15/16 e 16/17, cioè le ultime prima della riforma.
Questo ha consentito al Sassuolo di entrare nelle sedici squadre del primo girone del campionato Primavera (da allora Primavera 1) e di esserci in maniera consecutiva fino ad oggi, ovvero non retrocedendo mai ora che le retrocessioni sono possibili.
Per darvi un esempio delle forze in campo, ecco la sequenza di squadre che si sono alternate da allora nella vittoria del campionato primavera: Inter, Atalanta, Atalanta, Empoli, Inter. Nessuna di queste squadre disputerà la finale di questo anno che vedrà quindi sicuramente una nuova vincitrice.
Al di là dei titoli però bisogna anche dare un’occhiata a chi si è qualificato ai playoff. L’Inter si è sempre qualificata ai playoff quando ci sono stati (non furono disputati la stagione covid 19/20) tranne questa stagione, e Atalanta, Roma e Juventus sono presenze fisse. Più di una qualificazione per Torino e Fiorentina e infine qualche exploit come Cagliari e il Lecce di questo anno.
Per poi aggiungere anche la Coppa Italia che negli anni recenti ha visto tre vittorie della Fiorentina e l’ultima della Roma.

Per darvi un’idea, quindi, alcune big che fanno spesso fatica sono Napoli, Lazio e Milan, mentre le altre ci sono tutte lasciando lo spazio alle sorprese come il Lecce di questo anno.
Il Lecce però rappresenta anche un pericolo potenziale, e questo dobbiamo dirlo senza far scadere il dibattito in semplicismi e luoghi comuni dannosi, non concessi e non voluti.
La squadra salentina ha presentato ai playoff una rosa composta da 20 giocatori stranieri su 26 totali: un’infinità. Precisiamo una cosa, parliamo di nazionalità sportive, non effettive perché questo non vuole essere un dibattito politico ma restare confinato al calcio.
Per darvi un paragone il Torino ne ha portati 15, la Fiorentina 6, il Sassuolo 7, la Juventus 6 e la Roma 10. Come vedete il numero dei pugliesi è abbastanza anomalo. Qualora il Torino vincesse contro la Fiorentina, poi, sarebbe molto probabile vedere in finale una maggioranza di giocatori non di nazionalità italiana.
Questo è il manifesto di come ultimamente le società stiano cominciando a spostare il focus sulla primavera ed effettuare sempre più operazioni di mercato a basso costo nella speranza di indovinare la giusta pedina. Nonostante Trasfermarkt attribuisca al giocatore di maggior valore (Valentin Carboni) un prezzo di 4 milioni, è evidente che non verrà mai valutato così.
Per darvi un altro esempio, il giocatore di maggior valore del Sassuolo è ovviamente Luca d’Andrea valutato 2,5 milioni, ma è difficile immaginare un universo parallelo in cui il Sassuolo cederà o anche solo valuterà il ragazzo questa cifra. Su questo la pista l’ha aperta Cesare Casadei.
Il ragazzo che sta trascinando l’Italia nel Mondiale Under 20 è stato pagato 15 milioni all’Inter dal Chelsea che di giovani se ne intende non poco. Una cifra maggiore di quelle che girano per giocatori ben più esperti e non per questo anziani. Un affare in pratica.
Ecco, la sensazione è che ormai molte squadre abbiano fiutato l’odore e stiano cercando di trasformare le primavere in mucche da mungere a discapito però ovviamente del movimento calcistico. Va da se che “importando” calciatori giovani si toglie spazio a quelli nostrani, ma se questo discorso in ottica di squadre maggiori può scontrarsi con il diktat del risultato, alle squadre giovanili non dovrebbe importare nulla vista la pochezza dei montepremi.

E infatti, paradossalmente, proprio la relativamente poca importanza economica del campionato rende più remunerativo lanciare una giovane plusvalenza che piazzarsi bene in campionato. Cosa che poi sta già succedendo nel calcio dei grandi.
Lanciato il campanello di allarme, chiudiamo il moralismo e torniamo al Sassuolo.
Per la prima volta da quando c’è il girone unico di primo livello la squadra si è qualificata alla fase finale a sigillo di un’ottima annata in cui sono emersi profili nettamente interessanti in ottica prima squadra.
Di D’Andrea si è già detto molto, concludendo a 18 anni il suo primo anno in serie A con un gol e un assist ha messo in mostra capacità interessanti e rilevanti e di lui già si discute per l’anno prossimo su quale che sia la sua destinazione. Probabilmente verrà aggregato alla prima squadra già dal ritiro estivo.
Poi il capocannoniere Kevin Bruno, che punta non è. Pur partendo da trequartista, Bruno ha realizzato ben 18 gol in campionato ed è stato convocato sul finale di stagione anche da Dionisi. Il suo rendimento è sintomo del gioco di Bigica che alle ripartenze veloci in campo aperto preferisce la costruzione e l’entrata in area tramite cross o uno due al limite.

Interessanti anche i profili di Kumi e Mata, che pur non essendo prolifici hanno mostrato qualità decisamente buone per il livello del campionato e sono chiamati alla conferma il prossimo anno.
Mentre dietro le linee il lavoro di Pieragnolo e del mediano capitano Casolari potrebbero già meritare una riflessione per questa estate a Vipiteno.
E oltre a loro anche tanti altri profili di buon potenziale in quella che come detto è stata una stagione con i fiocchi se consideriamo i mezzi con cui il Sassuolo imposta la Primavera. Attenzione, non che il Sassuolo non sia in pole position per appropriarsi di giocatori interessanti, anzi.
Negli ultimi anni l’attività di Francesco Palmieri, responsabile del settore giovanile, si è indubbiamente intensificata in questo senso e lo stesso D’Andrea è stato acquistato dalla SPAL senza se e senza ma. Però quanto operato è sempre stato fatto nell’ottica di “completare” la rosa o cogliere occasioni, comunque sempre nelle spirito della costruzione di una squadra e non di un freddo assemblaggio.
La riflessione di ampio respiro promessa all’inizio però non è ancora arrivata, quindi eccoci al punto cruciale.
Dopo 10 anni di serie A, come sta andando il Sassuolo dal punto di vista giovanile?
Il Sassuolo “giovane ed italiano” degli inizi ormai sappiamo essere un miraggio, ma anche perchè fin da allora questo claim fu raggiunto non tanto con le giovanili quanto piuttosto con l’accordo di compravendita di profili ad alto potenziale in serie A.
Era il caso di Zaza, Sansone e Berardi i primi anni, fino ad arrivare a Sensi, Politano e Locatelli con in mezzo anche una marea di tentativi mal riusciti come Marrone, Cassata o Mazzitelli. Qualcosa è andato bene, qualcosa no, ma era sempre un lavoro che andava “oltre” i settori giovanili.
Non che i settori giovanili si costruiscano in una notte, sia chiaro. Abbiamo visto che ci sono tuttora squadre big che faticano ad averne uno di impatto e forse anche per questo soltanto la Juventus ha finora colto la palla al balzo delle seconde squadre. Ma se dopo 10 anni è tempo di bilanci allora ne abbiamo fatto uno.
Abbiamo analizzato tutti i 556 giocatori che hanno militato nella serie A 22/23. Ovviamente potremmo estendere l’analisi anche a tutti i dieci anni del Sassuolo in A ma questo richiederebbe tempo enorme e produrrebbe anche un risultato non del tutto corretto dal momento che non possiamo pretendere che una neopromossa lanci giocatori in serie A dal vivaio fin da subito.
Ebbene, abbiamo analizzato la carriera di tutti i singoli giocatori e abbiamo abbinato loro la squadra che li ha “formati”. Qui ovviamente la questione più delicata: cosa si intende per formati?
Abbiamo escluso ad esempio giocatori che avevano già esordito nelle serie minori prima di arrivare in primavera, o giocatori che sono stati comprati l’anno prima di esordire in serie A. In pratica abbiamo sciolto il vincolo per cui un giocatore dell’Inter che esordisce in A con l’Inter è un giovane formato nell’Inter. Non è detto.
Abbiamo dato maggior importanza agli anni della formazione tecnico-tattica, ovvero dai 14 anni in su, e abbiamo cercato di mantenere almeno 2 anni di militanza nelle giovanili ad esclusione di eventuali prestiti.
Vi facciamo alcuni esempi nostrani per capirci.
- Domenico Berardi è arrivato al Sassuolo in età avanzata, verso i 14 anni, e da lì poi ha fatto la trafila ed ha esordito in neroverde: questo conta come giovane cresciuto nel Sassuolo.
- Luca D’Andrea invece ha svolto la maggior parte delle giovanili alla SPAL, è arrivato (comprato per 50mila euro) lo scorso mercato invernale e poi ha esordito dopo nemmeno un anno di Primavera completo. Conta come giocatore formatosi nella SPAL.
- Ultimo esempio. Davide Frattesi ha giocato più anni nelle giovanili della Lazio che della Roma, ma ha svolto in giallorosso gli anni determinanti alla maturazione calcistica quindi conta come profilo cresciuto nella Roma.
Andando ad applicare questi concetti uno ad uno, ecco cosa risulta dall’analisi dei giocatori che hanno giocato in questa serie A ad esclusione delle ultime 5 giornate, in cui rischiano di accavallarsi esordi sporadici.
Innanzitutto 219 sono cresciuti in Italia, cioè meno della metà. A seguire la Francia con 41, sempre più faro del calcio in Europa, poi Olanda, Spagna, Argentina e Brasile tutte con circa 20 giocatori. Attenzione alla Serbia che ne porta ben 17.

Già questo potrebbe far partire un discorso che però abbiamo già affrontato, ma meglio proseguire e arrivare alle squadre che sono la cosa che più ci preme.
Se seguite il calcio giovanile non avrete dubbi su chi guida la classifica.
L’Atalanta Bergamasca Calcio ha portato a questa serie A ben 20 giocatori, cioè in pratica una squadra intera. E stupisce anche nella qualità dei nomi: Bastoni, Scalvini, Colpani, Cambiaghi e Carnesecchi senza dimenticare Zortea e Consigli. Ci sono anche molti nomi di ex promesse come Gagliardini, Barrow, Caldara o Conti. Per darvi un’idea, questi nomi hanno fatto incassare in tutto 80 milioni di euro.
Poi arriva l’Inter con il nostro Andrea Pinamonti ma anche con un non meglio riconosciuto Leonardo Bonucci. La squadra di Milano porta 17 giocatori in questa serie A e abbiamo visto come sia ben inserita nel palmares primavera.
Poi la Roma, che tra Politano, Pellegrini, Frattesi e Marchizza conoscevamo bene. Ma parimerito sempre con 15 giocatori c’è anche il Milan. Questo è un caso strano, visti i pochi successi raccolti finora, ma una marea di profili apparentemente distaccati come Petagna, Verdi o Tsadjout.
Seguono a 12 la Fiorentina, a 11 la Juventus (a cui abbiamo tolto molti giocatori “comprati” per la Next Gen e quindi non maturati a Vinovo), e poi l’Empoli a 10.
Il Sassuolo si posiziona al 9 posto con 5 giocatori e molte squadre a parimerito come Udinese, Partizan, Chelsea o Barcellona. Fanno appena meglio di noi Torino, Verona, Genoa e Sporting Club.
Portiamo in dote alla serie A 22/23 Domenico Berardi, Martin Erlic, Simone Perilli, Giacomo Raspadori e un dimenticato Kastriot Dermaku nato persino a Scandiano.
L’altra domanda che ci si potrebbe fare è: quanti giocatori del vivaio giocano oggi nella stessa squadra? Sempre contando i giocatori “formati” con i criteri di prima.
Come avrete capito noi ne abbiamo solo due, Berardi ed Erlic, con Fiorentina ed Empoli che guidano la classifica con 5 giocatori del vivaio in rosa. Segue Atalanta a 4 e Verona, Milan, Samp e Roma con 3.
A questo punto si possono tirare le somme.
Il Sassuolo è una squadra (o meglio società) che punta a valorizzare i giovani cresciuti nel proprio vivaio? No, non è ancora così nonostante la tripletta di tornei di Viareggio vinti e le bellissime esperienze di Domenico Berardi e Giacomo Raspadori.

I due sono forse i ritratti da appendere al Mapei Center visto che dal settore giovanile sono arrivati a vincere un Europeo con la maglia neroverde, ma sono ancora casi isolati.
Certo, aspirare ai livelli dell’Atalanta significa veramente puntare al massimo possibile e non dobbiamo giudicare l’operato di questi anni tenendo come solo benchmark la migliore in Italia.
Però va annotato e analizzato come proprio la Dea sia la società che è riuscita negli anni ad inserirsi tra le big, e di questo non se ne parla mai abbastanza. Quando il Sassuolo è arrivato in Serie A l’Atalanta era una squadra da media classifica e quando il Sassuolo si qualificava in Europa League lei finiva al 13° posto come noi.
Cosa sia successo dopo è anche parte del mistero del calcio, ma dopo anni passati a vendere i profili migliori come quelli citati prima (a cui possiamo aggiungere anche Kessie, Bonaventura) ha raggiunto 6 qualificazioni europee di cui 3 in Champions League dopo 30 anni dall’ultima volta.
I giovani per la squadra sono stati spesso un ottimo bacino da cui attingere in caso di emergenza (vedi Bastoni, Scalvini, Sportiello o Okoli) oppure pedini sacrificabili in ottica mercato per permettersi acquisti senza disfare la squadra (un nome su tutti Dejan Kulusevski).
Questo è l’esempio più virtuoso di tutti, difficilissimo da imitare e forse impossibile, ma per dimostrare come ci possa essere correlazione tra il lavoro sul vivaio e i risultati ottenuti nel lungo periodo.
Quindi il Sassuolo è una squadra (società) che lavora male con i giovani? Assolutamente no, anzi. L’impressione è che questo campionato possa essere una vera e propria svolta.
Dal 17/18 compreso i minuti concessi ai ragazzi dalla Primavera sono stati nel complesso 981 per 14 giocatori: una media di 70 minuti a testa che sembrerebbe buona. Se però togliamo D’Andrea e Raspadori (316 minuti uno e 265 l’altro) la media scende a 33 grazie sempre a due partite di Turati.
Non sono numeri impressionanti, di fatto solo D’Andrea, Raspadori e Turati hanno giocato oltre 90 minuti e/o sono partiti titolari in queste 6 stagioni. Il resto sono qualche briciola qua e là in stagioni in cui il Sassuolo si è giocato qualcosa fino all’ultima giornata soltanto nella 20/21.

L’impressione però è che ci possa essere una svolta sia perchè il caso D’Andrea già dimostra un buon impiego, sia perchè appunto sembra cominciare a formarsi un gruppo di buone prospettive che finora oggettivamente non c’è stato.
La crescita di risultati del Sassuolo a livello giovanile nell’ultimo quinquennio è stata pulita e lineare, con molti ragazzi che sono passati di categoria in categoria senza perdersi o necessitare innesti. E oltre a questo, il lavoro tecnico di Bigica sembra aver dato un livello superiore alla preparazione dei ragazzi.
Finora quindi è oggettivo che il Sassuolo abbia attinto poco al suo vivaio. Adesso però vedendo i valori in campo certificati da un buon campionato, la società potrebbe già cominciare a raccogliere frutti da semi che finora forse non avevamo ancora notato essere sparsi.